Nel panorama dei fumetti horror contemporanei, Discesa all’Inferno è una delle opere più inquietanti e disturbanti degli ultimi anni. Non perché mostri fiumi di sangue o zombie urlanti, ma perché tocca l’orrore più profondo: quello dell’animo umano. Garth Ennis, autore di Preacher e The Boys, qui non è né blasfemo né esplosivo: è glaciale. Lucido. E spietatamente serio.
Quando l’inferno è un magazzino federale
Tutto comincia come un poliziesco: due agenti dell’FBI, Shaw e McGregor, indagano su un collega scomparso misteriosamente. Seguendo una pista, entrano in un magazzino abbandonato… e non ne escono più. O meglio: entrano in un luogo che sembra un magazzino, ma che lentamente si trasforma in un labirinto psicologico e metafisico, dove spazio, tempo e logica iniziano a sfaldarsi.
Da quel momento in poi, ogni passo è una discesa – letterale e metaforica – verso l’inferno. Ma non un inferno di fuoco e demoni: è fatto di ricordi, traumi, colpe e violenze troppo reali.
Il cuore nero dell’America
Ennis qui mette in scena una riflessione tagliente sul male che pervade la società americana: pedofilia sistemica, terrorismo interno, apatia istituzionale, fanatismo religioso. Tutto è filtrato attraverso l’indagine, che si fa progressivamente sempre più irreale, quasi lynchiana. È un horror morale, dove il male non è un mostro ma una struttura: invisibile, insinuata, accettata.
I disegni di Sudžuka: minimalismo del terrore
Goran Sudžuka adotta uno stile pulito, quasi sobrio, ma questa calma apparente amplifica l’orrore. Il tratto semplice, il montaggio regolare, l’uso del bianco e nero (o dei colori piatti nella versione originale) creano un effetto claustrofobico. Quando arrivano i momenti più disturbanti, non c’è bisogno di splash page o effetti speciali: basta un’inquadratura ferma. E lo stomaco si chiude.
Un’opera cupa, essenziale, da leggere con cautela
Discesa all’Inferno è un viaggio nell’orrore senza jump scare. È cerebrale, dialogato, lento e soffocante. E per questo funziona così bene. Non è una lettura da spiaggia, ma una discesa (appunto) nelle profondità della colpa e della paura collettiva. Ennis qui abbandona il sarcasmo e l’iperbole: ci offre invece uno dei suoi lavori più maturi e inquietanti.