In un’epoca in cui l’horror sembra spesso legato a franchise infiniti o jump scare prevedibili, 50 States of Fright ha il coraggio di riscoprire qualcosa di più antico e profondo: la leggenda locale, il racconto del fuoco acceso, la paura che nasce dal territorio stesso.
Non è una serie che urla, ma una che sussurra storie cattive all’orecchio, con un ghigno alla Raimi.
Creata proprio da Sam Raimi (sì, Evil Dead, Darkman, Drag Me to Hell, giusto per essere chiari), la serie debutta nel 2020 sulla sfortunata piattaforma Quibi — destinata a morire troppo presto — per poi trovare nuova vita su The Roku Channel. Ma il suo spirito? Quello è immortale, e si nutre delle ombre lunghe d’America.
L’antologia come mappa della paura
Il progetto è semplicissimo, ma geniale nella sua classicità: ogni episodio (o mini-arco) è ambientato in uno dei 50 stati degli USA e racconta una leggenda locale, un mito oscuro, un fatto di cronaca reinterpretato in chiave horror.
- Il Michigan ha la leggenda del braccio d’oro.
- Il Kansas ha la gigantesca palla di spago… e i suoi segreti.
- Il Colorado ci regala un hotel infestato degno di Shining.
C’è dentro Lovecraft, folklore, Stephen King, creepypasta, ma anche Rod Serling. È l’America profonda, quella che non si mostra nei grattacieli ma nei boschi, nelle stazioni di servizio deserte, nei silenzi tra i campi di granturco.
Struttura e formato: breve, brutale, perfetto
Ogni racconto dura dai 5 ai 15 minuti, divisi a volte in più episodi da 7 minuti ciascuno (Quibi era pensata per visione mobile).
Questo costringe a una narrazione secca, immediata, come un pugno nello stomaco. Niente riempitivi: qui si va dritti al nocciolo del terrore.
E non c’è un tono unico: ogni racconto ha regia, fotografia e persino linguaggio visivo propri.
C’è l’horror gotico, il body horror, il thriller psicologico, l’horror sociale. A volte si sfiora la poesia macabra. Altre volte si ride (con amaro in bocca).
Episodi da ricordare (e da raccontare al buio)
Michigan – The Golden Arm
La storia più “Raimiana” della serie. Una donna riceve un braccio d’oro dopo un incidente, ma la sua avidità la porta oltre la tomba. Morale da fiaba nera, con sangue e stile.
Kansas – America’s Largest Ball of Twine
Una madre e sua figlia visitano una città devota a un’attrazione assurda… ma la follia collettiva nasconde riti antichi e prigionie psicotiche.
Una versione inquietante di The Wicker Man con l’umorismo nero di Twin Peaks.
Minnesota – Grey Cloud Island
Un rito di iniziazione in una confraternita diventa un incubo.
Atmosfere da Blair Witch, con finale disturbante e claustrofobico.
Colorado – Red Rum
Tre youtuber vogliono esplorare un hotel infestato. Un omaggio chiaro a Shining… ma con una deriva tutta sua, perfida e moderna.
Cast stellare, ma sempre al servizio della storia
Uno dei punti forti della serie è l’uso di attori di livello, spesso impiegati in ruoli anti-glamour:
- Rachel Brosnahan (la signora del braccio d’oro);
- Christina Ricci (in un episodio dai toni da favola depravata);
- Ming-Na Wen, Asa Butterfield, Travis Fimmel, Taissa Farmiga…
La recitazione è sempre misurata, atmosferica, mai sopra le righe: qui si lavora per costruire ansia, non shock visivi.
Estetica e regia: il tocco classico nel moderno
A differenza di tante produzioni horror moderne, 50 States of Fright non cerca lo spavento a effetto, ma lavora sull’atmosfera.
- Luci fredde e naturali.
- Colori spenti.
- Set realistici ma inquietanti.
- Suono essenziale, con rumori ambientali inquietanti e silenzi ben piazzati.
Raimi stesso dirige il primo racconto (Michigan) e si sente: dinamismo, sarcasmo nero, e sangue a fiumi, ma sempre con mestiere.
Critica e distribuzione: un gioiello incompreso
- Quibi è fallita in pochi mesi, e 50 States of Fright ci è finita sotto.
- Ma la serie è stata rivalutata una volta arrivata su Roku, dove ha trovato un pubblico più ampio.
Molti critici l’hanno definita la risposta horror ad antologie come Black Mirror, ma con un’anima più classica, più gotica.
L’antologia horror che serviva
In un mondo televisivo dominato da stagioni infinite e trame diluite, 50 States of Fright è un ritorno al racconto breve, alla narrazione essenziale, alla paura che nasce in fretta… e non se ne va più.
Un’antologia come si faceva una volta, ma scritta per oggi.
Con la maestria di Raimi e una produzione che sa dove colpire.
Il consiglio? Guardalo al buio, da solo. E poi chiediti: “cosa racconterebbe la mia terra, se avesse un mostro sotto il letto?”