La storia parte da un evento reale. Nel 1985, in Georgia, un orso nero viene ritrovato morto dopo aver ingerito oltre 30 kg di cocaina caduti da un aereo pilotato da un narcotrafficante in fuga. Il povero animale ha un infarto e muore. Fine della storia.

Se fosse finita lì, ne avrebbero fatto forse una pagina su Wikipedia o un post bizzarro su Reddit. Ma nel 2023, la regista Elizabeth Banks (sì, proprio la Effie Trinket di Hunger Games) decide di trasformare questo fatto in una pellicola horror-comedy splatter, dove l’orso… non muore subito. Anzi: diventa una furia assassina cocainomane nel cuore della foresta.

Cioè, dai: come fai a non volerlo vedere?

Scarface ma con l’orso strafatto

Il film ruota attorno a una valigia piena di cocaina che si schianta in una foresta. Un orso la trova. Ne assume una quantità che farebbe impallidire Tony Montana. E inizia la sua giornata di gloria: un trip violento e surreale, dove chiunque entri nei boschi rischia di finire come sushi al rave.

Attorno a questa premessa girano vari personaggi da B-movie ben costruito: poliziotti sfatti, spacciatori goffi, mamme coraggiose, ragazzini incoscienti, escursionisti impiccioni. Ognuno entra nella foresta con le proprie motivazioni. Nessuno ne esce indenne.

Ma l’orso? L’orso è l’eroe (in negativo) assoluto. È Jason Voorhees con il naso che cola. È King Kong se fosse cresciuto in un rave degli anni ’80. È la natura che si vendica, ma sotto effetto di stupefacenti.

Tra splatter, gag e critica velata

La forza del film sta nell’equilibrio instabile (e azzeccatissimo) tra comicità demenziale, gore esagerato e tensione da survival. Elizabeth Banks dirige senza prendersi troppo sul serio ma con una consapevolezza sorprendente: sa di avere un’idea assurda per le mani, e la cavalca con gusto.

E se gratti sotto la superficie, c’è persino una sottile critica al capitalismo tossico, all’abuso di sostanze, alla distruzione della natura e all’irresponsabilità umana. Ma non ti viene mai sbattuta in faccia: è tutta immersa nel sangue e nella neve.

L’estetica: anni ’80, VHS e sangue finto

L’ambientazione è perfetta: anni ’80, colonna sonora vintage, stile da slasher vecchia scuola, effetti speciali volutamente teatrali. Sembra di vedere un film che avrebbe potuto uscire direttamente in VHS accanto a Evil Dead 2, Critters e Troll 2 — ma fatto con mezzi moderni e un’ironia molto consapevole.

Il CGI dell’orso è sorprendentemente buono, e le scene più splatter sono creative, sopra le righe, spesso più divertenti che disturbanti. Un morto in meno e un battito d’ali in più e sarebbe quasi un episodio di Rick and Morty.

Un film cult già al primo sniff

Cocaine Bear non è per tutti, ma chi lo ama lo ama tanto. È uno di quei film che si guardano in gruppo, con amici e birra, magari citando le battute già al secondo rewatch. È cinema anarchico, tamarro, libero.

E poi c’è anche Ray Liotta nel suo ultimo ruolo cinematografico. Una presenza che aggiunge un tocco tragicamente poetico a un film che, altrimenti, sarebbe solo pura follia. È il gangster classico gettato nel delirio della modernità, e il suo personaggio sembra sapere che sta recitando in un mondo che non capisce più.

Un film che non doveva esistere… e meno male che esiste

Cocaine Bear è una lettera d’amore al cinema trash fatto bene, al gusto per l’assurdo e alla libertà creativa più sfrenata. Non è raffinato, non è sottile, non è educato — ma è spaventosamente divertente.

Se ami i film che sembrano una scommessa persa in partenza ma vincono al decimo round, se hai un debole per il gore creativo e la commedia demenziale, se ti sei mai chiesto “e se un orso sniffasse coca?”, questo film è il tuo spirit animale.