La serie originale di Il mostro BEM trasmessa per la prima volta in Giappone nel 1968, e’ un pezzo di storia dell’animazione nipponica, un’opera cupa, radicale, gotica, che ha lasciato un segno profondo non solo per l’estetica horror, ma per il messaggio morale profondo, in anticipo sui tempi.
Nel 1968, la televisione giapponese mandava in onda Youkai Ningen Bem – in italiano Il mostro Bem. Un titolo che oggi potrebbe evocare curiosità nostalgica o semplice folklore, ma che all’epoca rappresentava qualcosa di profondamente nuovo. In un’epoca dominata da robottoni e supereroi solari, Bem era oscuro, tragico, etico.
Tre esseri mostruosi, deformi, respinti dalla società, combattono ogni giorno per difendere gli esseri umani. Nonostante vengano odiati, temuti e perseguitati, non smettono mai di credere nella possibilità che un giorno, l’umanità li accetti. La loro speranza? Diventare umani. Ma nel frattempo, devono affrontare il Male. Quello vero. Quello umano.
Tra umano e mostruoso, il confine si sfalda
La serie ruota attorno a tre protagonisti:
- Bem, il leader: alto, dal volto scavato, forza sovrumana, razionale, malinconico.
- Bela, la figura femminile: capelli neri, sguardo tagliente, capace di trasformarsi in nebbia.
- Bero, il giovane: impulsivo, affettuoso, ancora legato all’innocenza.
Sono youkai, ovvero creature soprannaturali del folklore giapponese, ma in questa serie il termine si piega in chiave esistenziale. Non sono spiriti maligni. Sono mutanti. Emarginati. Erranti. Vivono ai margini della città, in case abbandonate, sotto la pioggia, in un eterno crepuscolo.
Ogni episodio li vede affrontare un caso diverso: bambini posseduti, scienziati folli, creature deformi nate dall’avidità umana. Il tono è gotico, i colori – quando presenti – sono cupi, le musiche dissonanti. Non c’è mai trionfo. Solo sopravvivenza.
L’estetica: tra horror europeo e urban decay giapponese
Non si può parlare di Bem senza parlare della sua estetica. L’animazione del 1968 è essenziale, ma lo stile visivo è riconoscibile e inquietante. I fondali sono decadenti, spesso astratti, con case in rovina, luci artificiali fredde, nebbia perenne. I mostri appaiono sempre nel buio, emergendo come incubi dallo sfondo urbano.
Lo stile deve molto all’horror gotico europeo, ma lo rilegge con un occhio tutto giapponese per il trauma urbano postbellico. Non è un horror di schock, ma di atmosfera. Ogni episodio ha un ritmo lento, teatrale, quasi rituale.
La colonna sonora, cupa e melodrammatica, accompagna i movimenti dei personaggi come un lamento. Persino le scene d’azione hanno un che di tragico. I combattimenti non sono esaltazione del potere, ma necessità dolorosa.
I mostri siamo noi: il cuore morale della serie
Il punto di forza di Il mostro Bem è il suo codice etico, sorprendente per l’epoca. I tre protagonisti sono definiti dalla loro umanità, proprio in quanto non umani. Lottano per la giustizia, per la protezione dei deboli, per un ideale che gli esseri umani stessi hanno abbandonato. In ogni episodio, la vera minaccia non è mai il mostro soprannaturale. È la malvagità dell’uomo.
Ci sono scienziati che manipolano la vita, genitori che vendono i figli, poliziotti corrotti, preti bugiardi. La serie mette costantemente in discussione l’idea che “umano” significhi “buono”. E fa una proposta radicale: chi è trattato come un mostro, può essere più umano di tutti.
I protagonisti vengono odiati, scacciati, picchiati. Eppure, non rispondono mai con la stessa moneta. Non vogliono vendetta. Vogliono solo essere accettati.
I tre personaggi: frammenti di un’anima spezzata
Bem è il tragico cavaliere nero. Incorpora la razionalità e il dovere. È l’archetipo del mostro morale, alla Frankenstein. Il suo desiderio di diventare umano è etico, non solo fisico: vuole meritarselo. Ogni suo gesto è un atto di espiazione.
Bela è la parte fragile e risoluta. È più emotiva, ma anche più lucida nel cogliere l’ipocrisia degli uomini. In lei c’è qualcosa di profondamente femminile, ma mai stereotipato: è la compassione unita alla forza, in bilico tra cura e furore.
Bero, infine, è la speranza. Ancora legato alla fantasia, ai giochi, al sogno di essere accettato. È spesso quello che si avvicina di più ai bambini umani. Ma è anche colui che soffre di più quando viene respinto. La sua è una ferita aperta.
Il mostro Bem è una serie che ha precorso i tempi. Parlava di discriminazione, rifiuto, diversità molto prima che fossero temi comuni nell’animazione. Lo faceva con una forza narrativa diretta, essenziale, senza edulcorare nulla. Il suo messaggio, dopo più di mezzo secolo, non ha perso un grammo di potenza.
I tre protagonisti vagano ancora, da qualche parte, sotto la pioggia. Salvano chi possono. Vengono insultati da chi salvano. Ma non smettono. Perché se fare del bene non è abbastanza per essere umani, allora cos’è l’umanità?
E alla fine, la domanda resta:
chi sono i veri mostri?
I CINQUE EPISODI INDIMENTICABILI DA IL MOSTRO BEM (1968):
1. Episodio 4 – Il bambino e il mostro invisibile
Un bambino comincia a parlare con un amico immaginario. All’inizio sembra una fantasia infantile, ma la creatura è reale. Invisibile agli adulti, è un’entità che si nutre della paura e dell’isolamento del piccolo.
Perché è horror:
Questo episodio gioca con la solitudine dei bambini come porta per l’orrore. L’idea che un essere malvagio possa nascondersi nella mente di un bambino abbandonato è profondamente inquietante. La creatura non ha volto, non ha forma. È la proiezione di un bisogno spezzato. Un tema che anticipa, in chiave poetica, certe atmosfere alla Babadook.
2. Episodio 7 – La casa della bambola maledetta
Una villa in rovina, una famiglia nobile decaduta, e una bambola antica che sembra possedere una vita propria. I membri della famiglia cominciano a scomparire, uno a uno, mentre la bambola appare ogni volta più… umana.
Perché è horror:
Qui siamo nel pieno del gotico nipponico. Il setting è da romanzo ottocentesco, e il terrore nasce dal sottile confine tra oggetto e presenza vivente. La bambola, con i suoi occhi vitrei e il sorriso immobile, rappresenta il passato che non vuole morire. Le atmosfere sono opprimenti, le ombre diventano veri e propri personaggi. È un horror di suggestione e lentezza.
3. Episodio 11 – La nebbia rossa
Un’intera cittadina viene avvolta da una nebbia densa, tossica. Chi respira quell’aria inizia a cambiare: prima nella mente, poi nel corpo. Gli abitanti si trasformano lentamente in creature mostruose, perdendo ogni umanità.
Perché è horror:
La trasformazione lenta, inesorabile e collettiva, è una delle paure più archetipiche. Qui il nemico non è un mostro esterno, ma un’alterazione dell’ambiente stesso, che corrompe i corpi e le coscienze. La nebbia non è solo un elemento atmosferico: è l’allegoria della disumanizzazione. Visivamente cupo e senza speranza, questo episodio è un piccolo capolavoro di atmosfera.
4. Episodio 18 – La maledizione dell’orfanotrofio
Una serie di sparizioni si verifica in un orfanotrofio isolato. I bambini cominciano ad avere incubi simili. Si parla di una suora scomparsa anni prima, forse ancora presente tra le mura, in forma spettrale.
Perché è horror:
Qui entriamo nel dominio dell’orrore religioso, con tutte le sue implicazioni di colpa, espiazione e castigo. L’ambiente dell’orfanotrofio è freddo, quasi carcerario. La figura della suora fantasmatica viene mostrata con accenni, rumori, apparizioni improvvise. L’episodio è carico di tensione e affronta implicitamente il trauma infantile legato all’autorità repressiva.
5. Episodio 23 – La vendetta del burattinaio
Un artista del teatro di marionette viene accusato ingiustamente e muore in carcere. Anni dopo, nella stessa città, i suoi burattini tornano misteriosamente in scena… ma lo spettacolo è mortale.
Perché è horror:
L’unione tra arte e vendetta post mortem ha sempre un fascino macabro. Le marionette animate di questo episodio non sono semplici creature magiche, ma strumenti di giustizia deviata. Le uccisioni sono teatrali, rituali, e l’intero episodio gioca con il concetto di spettacolo come condanna. L’horror si manifesta nel controllo, nella perdita di libero arbitrio, nell’essere trasformati in pupazzi inconsapevoli.
Il vero orrore è la solitudine dell’essere
Gli episodi più horror de Il mostro Bem non fanno paura solo per le creature che mostrano, ma per ciò che svelano: la crudeltà, l’incomprensione, la solitudine, la corruzione. Il Male non arriva mai da fuori, ma nasce dalle crepe emotive e sociali. I mostri, spesso, sono solo conseguenze. Ombre proiettate da un’umanità in crisi.
Quello che Il mostro Bem ci ha insegnato, e che questi episodi mostrano con forza, è che il vero orrore non è essere diversi. È essere dimenticati.