“Le cose più incredibili sono spesso anche le più vere.”
– Dr. J. Allen Hynek, Project Blue Book
Quando la Storia incontra la fantascienza
Negli anni Cinquanta, l’America era una nazione sospesa tra due paure: la Guerra Fredda e l’ignoto. E proprio in quell’ignoto, alimentato da avvistamenti misteriosi nei cieli, nacque il vero “Project Blue Book”, un’indagine dell’Aeronautica degli Stati Uniti sui fenomeni aerei non identificati. Decenni dopo, questa storia torna a vivere grazie alla serie TV Project Blue Book (2019–2020), prodotta da Robert Zemeckis, un nome che già da solo promette un certo tipo di qualità narrativa e visiva.
La serie, trasmessa su History Channel per due stagioni, mescola elementi storici documentati con l’inquietudine tipica della science fiction, il tutto confezionato in un’estetica anni ’50 affascinante e curata al dettaglio.
Il cuore della serie: il Dr. J. Allen Hynek
Interpretato da un intenso Aidan Gillen (Game of Thrones), il Dr. J. Allen Hynek è il perno attorno a cui ruota tutta la narrazione. Astrofisico realmente esistito e consulente scientifico del vero Progetto Blue Book, Hynek è il paradigma dello scienziato razionale gettato in un mondo in cui la razionalità spesso vacilla.
All’inizio scettico, Hynek si ritrova presto coinvolto in casi che sfidano ogni logica, sviluppando lentamente un’apertura verso possibilità non convenzionali. La sua parabola è il vero “arco narrativo” della serie: un uomo che parte dall’analisi dei dati e arriva a contemplare l’inspiegabile.
Il Capitano Michael Quinn: l’uomo tra due fuochi
Accanto a Hynek c’è il Capitano Michael Quinn (Michael Malarkey), personaggio fittizio ispirato al vero Capitano Edward J. Ruppelt. Quinn rappresenta l’anello militare, ma anche umano, della catena: è l’uomo del dovere, del pragmatismo, costretto a destreggiarsi tra le domande scomode e gli ordini dall’alto. Il suo rapporto con Hynek si evolve da diffidenza reciproca a una profonda alleanza, a tratti quasi fraterna.
Trame ispirate a casi reali
Ogni episodio prende spunto da casi documentati dal vero Project Blue Book, tra cui l’Incidente di Roswell, l’Avvistamento di Lubbock e il Caso Gorman. La scrittura gioca sapientemente con il confine tra realtà storica e licenza artistica, creando una tensione narrativa che cattura e fa riflettere.
C’è anche un “filo rosso” che attraversa le puntate, un complotto governativo che cresce e si infittisce, ricordando The X-Files ma con un respiro più rétro e più ancorato alla geopolitica dell’epoca.
La verità è là fuori, ma è sotto controllo
Uno dei grandi meriti della serie è il modo in cui affronta temi come il controllo dell’informazione, la paranoia istituzionale, il ruolo dei media, e il sottile confine tra scienza e fede. Project Blue Book non cerca tanto di dare risposte quanto di suggerire le giuste domande.
E poi c’è l’elemento umano: la famiglia di Hynek, in particolare la moglie Mimi (Laura Mennell), ha uno spazio narrativo importante. I sospetti, le paure, l’isolamento sociale… elementi che danno profondità psicologica ai personaggi e rendono il tutto molto più tridimensionale.
Un’estetica raffinata e una colonna sonora d’atmosfera
La ricostruzione storica è impeccabile: abiti, ambientazioni, automobili, luci. Tutto contribuisce a creare un’atmosfera coinvolgente, a metà tra il noir investigativo e il thriller di cospirazione. Anche la colonna sonora, fatta di suoni sospesi, musiche d’epoca e silenzi carichi di tensione, gioca un ruolo fondamentale nel dare ritmo e pathos.
Stagione 1 (2019)
È la stagione dell’introduzione: i primi casi, l’incontro tra Hynek e Quinn, la costruzione della tensione. Si pongono le basi per un mondo complesso e affascinante.
Stagione 2 (2020)
Più ambiziosa, più dark. Emergono nuove minacce e si accentua la componente cospirazionista. Purtroppo, la serie viene cancellata proprio quando stava per spiccare il volo, lasciando molti interrogativi sospesi. Un po’ come le luci nei cieli che inseguiva.
Un’eredità (in)completa
Project Blue Book è una serie ingiustamente interrotta, eppure capace di lasciare un’impronta duratura in chi la guarda. Rappresenta un ponte tra la cronaca storica e la fantascienza filosofica, tra il sospetto e la meraviglia. Non è solo una serie sugli UFO: è una serie sulla verità, su quanto siamo disposti a cercarla… e su quanto siamo disposti a nasconderla.
Curiosità
Hynek coniò la celebre “Scala di Hynek” per classificare gli incontri ravvicinati del primo, secondo e terzo tipo. Sì, proprio quella citata da Spielberg. E no, non era fantascienza.