Something Is Killing the Children è una delle serie a fumetti horror più acclamate degli ultimi anni. Un’opera che fonde mistero, tensione emotiva e una costruzione mitologica originale, capace di riscrivere le regole del genere con intelligenza e brutalità.
Dove crescono i mostri
C’è un paese come tanti. C’è una foresta. E ci sono bambini che spariscono. Potrebbe sembrare la premessa di una fiaba nera o di una leggenda urbana, ma Something Is Killing the Children, creata da James Tynion IV e illustrata da Werther Dell’Edera, porta questo immaginario in un territorio nuovo. Una provincia americana anonima, una comunità ferita, una serie di sparizioni inspiegabili. E poi, l’arrivo di una ragazza con una bandana sugli occhi, armata di machete e silenzi. Il suo nome è Erica Slaughter. E i mostri esistono. Ma solo i bambini possono vederli.
La serie, pubblicata da Boom! Studios a partire dal 2019, si è imposta come un fenomeno editoriale. Non solo per la sua narrazione incalzante, ma per la sua capacità di restituire all’horror il suo cuore primigenio: quello della paura dell’invisibile, del non detto, del troppo tardi.
L’universo narrativo: tra realtà e incubo
La trama si sviluppa a partire da una semplice e terrificante premessa: in alcune zone del mondo, creature mostruose si nutrono dei bambini. Sono invisibili agli adulti, ma reali, tangibili, assetate. Quando una serie di sparizioni e omicidi devasta la cittadina di Archer’s Peak, le autorità brancolano nel buio. Ma Erica Slaughter, membro della misteriosa House of Slaughter, sa esattamente cosa sta accadendo.
L’universo narrativo è costruito con lentezza e profondità. Scopriamo poco a poco l’esistenza di un’organizzazione segreta che si occupa di contenere questi orrori. Le case del massacro, le regole non dette, il ruolo dei totem spirituali. Ogni elemento è pensato come parte di una mitologia coerente, stratificata e volutamente incompleta.
La scelta di far vedere i mostri solo ai bambini è geniale. È un’allegoria sottile ma devastante del trauma infantile, dell’abbandono, dell’incomprensione da parte del mondo adulto. I bambini urlano, ma nessuno li sente. Vengono uccisi, e gli adulti cercano spiegazioni razionali. Ma l’orrore è lì, e non ha un nome pronunciabile.
Dolore, infanzia e visibilità
Il dolore è il vero motore della narrazione. Dolore individuale, dolore collettivo. Ogni personaggio è segnato da una perdita, da una ferita non rimarginata. Il protagonista adolescente James è sopravvissuto all’attacco dei mostri ma è marchiato dal sospetto della comunità. Il suo isolamento diventa metafora della sopravvivenza traumatica. Erica stessa è un’orfana del sistema. Cresciuta dalla House of Slaughter, ha imparato a combattere, ma non a vivere.
Altro tema fondamentale è la difficoltà dell’adulto a proteggere ciò che non comprende. Il fumetto mostra una società incapace di reagire all’invisibile. Presidi, sceriffi, genitori: tutti vogliono ordine, spiegazioni, ma rifiutano l’assurdo. In questo senso, la narrazione è profondamente politica: denuncia la miopia di un mondo che ignora l’esperienza infantile, che anestetizza il dolore per non doverlo affrontare.
Infine, il tema della visibilità. Chi può vedere i mostri? Chi può ucciderli? E soprattutto: a che prezzo? Erica paga con l’isolamento, con un destino predeterminato. I bambini pagano con la vita. Gli adulti pagano con il senso di colpa. Tutti sono coinvolti, ma nessuno è salvo.
Sporco, nervoso, essenziale
Werther Dell’Edera costruisce un universo visivo cupo, fatto di tratti veloci, scene claustrofobiche, volti segnati. Il tratto non è realistico, ma emotivo. I personaggi sembrano consumati dalle ombre, sempre sull’orlo della dissoluzione. La regia è spesso teatrale, con vignette larghe, silenzi pesati e improvvisi scatti di violenza.
La rappresentazione dei mostri è volutamente ambigua. Non sono creature ben definite, ma masse contorte, denti e zampe che emergono dall’oscurità. Il disegno non spiega: suggerisce, aggredisce, svanisce. È una scelta stilistica perfettamente coerente con il tono della storia. Non ci sono luci forti, né epifanie visive. Solo oscurità crescente.
Erica Slaughter: l’anti-eroina perfetta
Erica è uno dei personaggi femminili più affascinanti del fumetto moderno. Non è un’eroina, non è una guerriera invincibile, non è una redentrice. È una professionista del dolore. Silenziosa, ruvida, guidata da un codice morale tutto suo. Le sue armi sono le sue cicatrici. Il suo totem parlante, un peluche di piovra chiamato Octo, è insieme guida spirituale e promemoria del trauma.
Il fascino di Erica risiede nella sua incompletezza. Non è né buona né cattiva. È una sopravvissuta che ha imparato a uccidere per evitare che altri finiscano come lei. La sua maschera sugli occhi è più di un elemento scenico: è un simbolo. Vede più degli altri, ma non può più guardare il mondo allo stesso modo.
Espansione e universo condiviso
Il successo della serie ha portato alla creazione di uno spin-off, House of Slaughter, che approfondisce le origini della setta segreta e racconta nuove storie di mostri, cacciatori e sacrifici. L’universo narrativo si espande, ma non perde coerenza. Il tono rimane adulto, tragico, complesso.
L’approccio alla costruzione del mondo è simile a quello delle grandi saghe dark fantasy, ma filtrato attraverso il linguaggio urbano e l’intimità dell’horror psicologico. Ogni nuova rivelazione aggiunge un tassello, ma apre nuove domande. Come nelle migliori narrazioni mitologiche, il mistero è parte integrante della verità.
L’orrore è reale, solo che non tutti possono vederlo
Something Is Killing the Children è un’opera che ha il coraggio di guardare in faccia l’orrore più scomodo: quello che colpisce i più piccoli, quello che gli adulti non vogliono ammettere. È una metafora potente e disturbante del trauma, dell’abbandono e della responsabilità collettiva.
Ma è anche una grande storia. Tesa, elegante, disegnata con nervi vivi e scritta con intelligenza e rabbia. Un fumetto che non cerca di rassicurare, ma di interrogare. E che ricorda, in ogni pagina, che i mostri esistono. E sono più vicini di quanto pensiamo.