Pubblicata tra il 2002 e il 2003 per l’etichetta Vertigo, The Filth non è solo un fumetto: è una dissezione brutale della realtà, del corpo, del linguaggio e della percezione. Una sorta di trattato sull’identità moderna nascosto sotto la pelle di un racconto di spionaggio metafisico, pornografia cyberpunk e degenerazione ontologica.
Il protagonista, Greg Feely, è un uomo qualunque. Vive una vita grigia, fatta di pornografia, pasti pronti e di un gatto malato che accudisce come unico scopo della sua esistenza. Ma Greg è anche l’alias di un agente segreto di una dimensione parallela chiamata La Squadra, che si occupa di mantenere lo status quo attraverso missioni grottesche che coinvolgono super criminali, dimensioni alternative e il subconscio collettivo. Solo che, come spesso accade in Morrison, nulla è reale. O forse lo è troppo.
L’opera gioca con tutto: con il concetto di pulp, con la pornografia, con il linguaggio dei fumetti stessi, con la metanarrazione e l’identità. Il lettore viene trascinato in un turbine di simboli e suggestioni che mescolano cultura alta e bassa, Jung, Philip K. Dick, biopolitica e pornografia da edicola.
Cos’è “lo schifo”?
The Filth è “lo sporco”, ma anche “la polizia” nel gergo britannico. È il sistema che pulisce ma anche quello che reprime. È lo scarto, il rifiuto, il pus culturale che ci definisce. Morrison prende tutto ciò che normalmente rifiutiamo — il sesso, la morte, il corpo, la perdita del sé — e ci obbliga a guardarci dentro. Non per giudicare, ma per capire quanto dell’essere umano si nasconda proprio lì, dove ci fa più schifo guardare.
A differenza di altre opere di Morrison più note, come Doom Patrol o All-Star Superman, The Filth non cerca di piacere. È un’opera volutamente ostile, criptica, ricca di sovrapposizioni simboliche e di momenti disturbanti. Ma dietro l’orrore visivo, dietro i dialoghi assurdi e la struttura apparentemente frammentaria, si cela un messaggio disperato e dolcissimo: la salvezza è possibile. Ma non si trova nell’ordine o nella purezza. Si trova nello schifo. Nell’accettare ciò che siamo, anche le parti più basse, più sporche, più dimenticate.
The Filth oggi
Riletto oggi, The Filth è quasi profetico. Parla di società sorvegliate, di corpi mercificati, di narrazioni manipolate, di realtà frammentate. In un’epoca dove il concetto di identità è sempre più fluido e complesso, Morrison ci aveva già avvisato: non si esce puliti da questo mondo, ma si può sopravvivere se si impara a nuotare nel disordine.
Chris Weston: il disegnatore che ha fatto sembrare reale l’incubo
Nel vasto panorama del fumetto contemporaneo, Chris Weston occupa un posto tutto suo. Le sue tavole sono iperrealiste, meticolose, claustrofobiche. Ogni ruga, ogni dettaglio architettonico, ogni grottesco frammento di carne è tracciato con una precisione chirurgica, quasi fotografica. E proprio questa sua estrema concretezza visiva diventa l’arma perfetta quando viene usata per rappresentare mondi che dovrebbero essere impossibili.
Nato nel 1969 in Inghilterra, Weston ha iniziato la sua carriera lavorando come assistente di Don Lawrence, ma è con la rivista 2000 AD che si fa conoscere. Il suo stile si definisce presto: un gusto per il dettaglio maniacale, un disegno denso, compatto, quasi soffocante, ma capace di adattarsi a storie tanto satiriche quanto horror. Il suo talento viene notato oltre oceano, e inizia a collaborare con DC Comics, Vertigo e successivamente anche con Marvel.
Il punto di svolta arriva con The Filth (2002-2003), la serie scritta da Grant Morrison per Vertigo. Weston è chiamato a disegnare una delle opere più dense e disturbanti dell’autore scozzese, una sfida che avrebbe fatto tremare chiunque. Invece Weston la affronta con lucidità glaciale. Il suo tratto, iper-definito, realistico al limite dell’ossessivo, diventa il contenitore perfetto per un contenuto totalmente fuori controllo. Il mondo allucinato di Greg Feely diventa tangibile proprio grazie alla chiarezza del disegno: più il contenuto è folle, più il contenitore deve essere solido.
In Weston convivono due anime: quella del cronista visivo e quella del visionario. Nei suoi lavori, anche i mostri più bizzarri hanno una texture riconoscibile, una consistenza epidermica. Questo rende tutto più disturbante. Non si ha mai la sensazione di leggere un “fumetto”, ma piuttosto di osservare una realtà alternativa che esiste, che ha peso, che potrebbe scivolare nel nostro mondo in qualsiasi momento.
Oltre a The Filth, Weston ha collaborato con Mark Millar per The Twelve (Marvel), una rilettura supereroistica con toni nostalgici e crepuscolari, e ha partecipato a numerosi altri progetti per Judge Dredd, Lucifer, Ministry of Space con Warren Ellis. In ogni occasione, la sua presenza grafica è riconoscibile e inconfondibile: ogni pagina è una vetrina di controllo, un acquario in cui l’assurdo si muove come se fosse cosa naturale.
Negli ultimi anni Weston ha anche affiancato all’attività di fumettista quella di concept artist per cinema e serie TV. Il suo senso del dettaglio e la capacità di rendere “reale” l’impossibile lo rendono una figura chiave anche in quel settore.
In un mondo del fumetto sempre più dominato da stili sintetici e digitali, Chris Weston resta un artigiano ossessivo, un artista che costruisce le sue tavole come piccoli mondi autonomi. E che, proprio per questo, riesce a rendere l’incubo così reale da non lasciarci via di fuga.