The Red Mother, scritta da Jeremy Haun e illustrata da Danny Luckert, è una serie pubblicata da Boom! Studios tra il 2019 e il 2021. È composta da dodici numeri che, uniti, formano un’unica lunga discesa nell’incubo. Si tratta di un horror psicologico moderno, ma fortemente debitore alla tradizione più colta del gotico. Non ci sono mostri che urlano dietro ogni angolo. C’è invece il silenzio, la tensione, il dolore del lutto che si deforma lentamente fino a diventare allucinazione, possessione, maledizione.
The Red Mother è una storia sull’invisibile che si rende visibile, sull’angoscia che si manifesta come presenza tangibile. Non un horror d’azione, ma un horror d’atmosfera, di sguardo e di sensazione. Una graphic novel che parla di cosa accade quando il mondo smette di avere coerenza, e tu rimani con un occhio solo… quello sbagliato.
Un occhio per vedere oltre
Daisy McDonough è una giovane donna che, in seguito a una brutale aggressione, perde l’occhio destro e il fidanzato. Ma la sua sofferenza non si limita alla perdita fisica: qualcosa dentro di lei cambia. Inizia ad avere visioni. Vede una figura femminile rossa, fluttuante, terrificante. Un’entità che sembra provenire da un’altra dimensione, o forse da una psicosi latente.
Mentre cerca di rimettere insieme la sua vita, Daisy è sempre più perseguitata da incubi, simboli misteriosi e presenze oscure. Viene coinvolta in un enigma che ha radici antiche e occulte. Man mano che la storia procede, capiamo che il trauma ha aperto in lei una porta. Ma ciò che vi entra non è solo angoscia: è un’antica divinità predatrice.
Daisy non è solo una vittima. È un recipiente. E The Red Mother è ciò che vuole essere vista.
L’occhio perduto: il simbolismo della visione
Uno degli elementi più potenti dell’intera opera è l’uso simbolico dell’occhio. Dopo l’incidente, Daisy riceve una protesi oculare. Ma è proprio da lì che iniziano le visioni. L’occhio diventa così soglia, strumento di contaminazione. La vista non è più affidabile, anzi, è proprio vedere ciò che non dovremmo vedere a condannare la protagonista.
In termini lovecraftiani, potremmo dire che Daisy ha “visto troppo”. L’orrore cosmico, l’altro mondo, ha trovato in lei una finestra. E da quella finestra entra il Male.
La narrazione non pone mai confini netti tra allucinazione e realtà. Non c’è un momento in cui si possa dire con certezza che ciò che Daisy vede non stia accadendo davvero. È un continuo scivolamento. Il lettore viene risucchiato in una spirale di sospetto, di ansia visiva, di sfiducia sensoriale.
Geometria del terrore
Danny Luckert costruisce tavole ordinate, quasi architettoniche. L’orrore non esplode: si insinua. I colori sono freddi, le linee pulite, l’inquietudine cresce proprio perché nulla sembra fuori posto. Ma quando la Red Mother appare, tutto cambia. L’intera pagina si deforma. Il rosso diventa presenza invadente, le figure si piegano, gli occhi si moltiplicano.
Ogni vignetta è controllata con precisione chirurgica, e il contrasto tra quotidiano e allucinato viene esasperato proprio attraverso il ritmo visivo. La narrazione scorre lenta, misurata, quasi elegante. Ma quando il mostro arriva, è sempre come una cesura: un taglio nell’ordine.
I personaggi: solitudine, manipolazione, culto
Daisy è una delle protagoniste più interessanti dell’horror recente. Non è una final girl, né una vittima in attesa. È una donna che lotta contro l’erosione della propria identità, contro il senso di colpa, contro la paura di essere diventata altro da sé. Il suo percorso è quello di una discesa nell’ignoto, ma anche di una lenta accettazione della trasformazione.
Attorno a lei gravitano personaggi inquietanti: colleghi ambigui, psicologi che sembrano sapere più di quanto dicano, figure anonime che la osservano. C’è una sensazione costante che tutto sia parte di un disegno più grande, forse millenario. La Red Mother non è solo una visione: è un culto, una religione, un potere antico in cerca di incarnazione.
Trauma, perdita, controllo
The Red Mother parla del trauma come riscrittura della realtà. Dopo la perdita, il mondo di Daisy non è più lo stesso. Ma non è solo una metafora. Il fumetto suggerisce che proprio il dolore rende vulnerabili alle forze oscure. Che il Male abita nei vuoti lasciati dall’assenza.
Altro tema centrale è il controllo. Il culto della Red Mother manipola, seduce, si insinua attraverso relazioni, lavoro, contatti quotidiani. Nessuno è davvero chi dice di essere. La realtà è un velo sottile, e sotto quel velo si muove qualcosa di antico, affamato e rosso.
Una discesa silenziosa nell’inquietudine
The Red Mother è un’opera compatta, disturbante e raffinata. Non urla mai, ma striscia sotto la pelle. È horror esistenziale, psicologico, visivo. È la storia di come un trauma può aprire una porta, e di come chi guarda troppo a lungo l’oscurità finisce per esserne guardato.
In un’epoca in cui l’orrore si fa spesso spettacolo, The Red Mother sceglie la via della tensione, dell’enigma, del simbolo. E vince, proprio perché non mostra tutto. Ti obbliga a guardare. E poi ti lascia con una domanda che non puoi ignorare.
Cosa stai vedendo davvero?