Nel 2016, mentre l’horror sembrava dividersi tra slasher ironici e drammi psicologici, due registi canadesi—Steven Kostanski e Jeremy Gillespie—decisero di scendere nel cuore dell’incubo. E lo fecero alla vecchia maniera. Nacque così The Void, un film che rifiuta le scorciatoie digitali e abbraccia il sangue finto, il lattice, e l’angoscia cosmica.

Finanziato in parte con il crowdfunding, The Void è un atto d’amore verso l’horror degli anni ’70 e ’80, ma con uno spirito assolutamente contemporaneo: pessimista, allucinato, nichilista.

Dall’ospedale all’abisso

Il film si apre con il vice sceriffo Daniel Carter, che soccorre un uomo ferito su una strada deserta e lo porta al più vicino ospedale. L’ospedale è quasi vuoto: pochi pazienti, staff ridotto, luci intermittenti. Ma qualcosa si muove tra i corridoi. Persone che impazziscono, trasformazioni raccapriccianti, presenze che non appartengono a questo mondo.

Fuori, un gruppo di figure incappucciate in bianco circonda l’edificio, impedendo ogni via di fuga. Dentro, il Dr. Richard Powell, medico della struttura, rivela di essere parte di un culto oscuro che cerca di superare la morte… aprendo un portale verso l’ignoto.

Il film diventa un viaggio nella decomposizione della realtà: non si sa più dove finisce il corpo e inizia il sogno, dove comincia l’aldilà e termina il mondo materiale.

Temi principali

1. Horror cosmico e lovecraftiano
Il vero nemico non è una creatura singola, ma il concetto stesso di oltre. Il film non dà spiegazioni, non offre rassicurazioni: l’orrore è imperscrutabile, totale, indifferente.

2. Il corpo come tempio della trasformazione
Come nel miglior body horror, i personaggi sono carne in attesa di essere riforgiata. L’identità cede sotto il peso del dolore e del sacrificio. Ogni mutazione è una punizione e un’evoluzione.

3. Il culto come fuga dal razionale
La setta incappucciata che circonda l’ospedale incarna la disperazione di chi vuole sfuggire alla morte… e finisce per abbracciare l’irreversibile. Il culto è la religione della carne che rinasce nel caos.

Una lettera d’amore al passato

The Void è costruito con effetti speciali pratici: niente CGI, ma creature realizzate a mano, mutazioni viscerali, pupazzi, sangue finto, prostetici. Ogni inquadratura richiama i grandi del passato:

  • The Thing di John Carpenter, per l’ambientazione isolata e i mostri deformi.
  • Hellraiser di Clive Barker, per l’idea della soglia tra piacere e dolore, tra vita e dannazione.
  • The Beyond di Lucio Fulci, per l’atmosfera onirica, irreale, e la narrazione che si rifiuta di chiudersi in modo razionale.

Il bianco accecante delle vesti dei cultisti si contrappone al nero assoluto del portale. È un film di contrasti estremi, dove ogni scelta cromatica ha il peso della dannazione.

Personaggi e interpretazioni

Il cast è essenziale, senza star di richiamo, ma ben orchestrato:

  • Aaron Poole interpreta Carter con uno stile sobrio, umano, vulnerabile. È un eroe per caso, che affronta l’inferno con la sola arma del dubbio.
  • Kenneth Welsh nei panni del Dr. Powell offre una delle performance più disturbanti del film: è il volto razionale della follia, lo scienziato diventato profeta del disfacimento.
  • Gli altri personaggi sono archetipi ben costruiti: l’infermiera, l’anziano, il ragazzo in fuga… ognuno portatore di un pezzo del mosaico.

Un cult moderno

The Void non è un film per tutti. È volutamente frammentario, ellittico, allucinato. Non spiega, non rassicura, non chiude i cerchi. Ma proprio per questo è diventato un piccolo cult, amato da chi cerca nell’horror qualcosa di sporco, antico, sacrilego.

Ha riaperto il dibattito su cosa significhi “fare horror come una volta”, ma con sensibilità nuova. È un ponte tra la tradizione artigianale e l’urgenza del cinema indipendente contemporaneo.

Guardare dentro l’abisso

The Void è un film che guarda in faccia l’ignoto. Non tenta di razionalizzare la paura: la lascia crescere come un tumore. È una discesa lenta e inesorabile nel cuore di un culto che non prega… ma apre varchi.

E alla fine, come ogni buon horror cosmico, non ci resta che la sensazione che qualcosa ci stia osservando da dietro lo schermo.