Ci sono film che urlano per essere notati. E ce ne sono altri che ti si avvicinano con il passo obliquo della realtà. Anora, scritto e diretto da Sean Baker, appartiene a questa seconda categoria. Un film che sembra piccolo, ma si dilata come una fessura nel tessuto dell’illusione americana. Un racconto di desiderio, di potere, di fuga e di sopravvivenza, in cui la marginalità non è il tema: è il punto di vista.
La protagonista è Anora Mikheeva, interpretata con magnetismo inquieto da Mikey Madison. È una giovane donna russa-americana che lavora come escort a Brighton Beach. Vive alla giornata, si muove tra feste, clienti e bollette, in un equilibrio precario che non ha nulla di romantico. Eppure, la sua figura irrompe sullo schermo con una grazia selvaggia, quasi fosse un personaggio di Lubitsch caduto dentro il cinema di Cassavetes.
La svolta arriva con Vanya, un giovane miliardario russo in vacanza a New York. Tra i due scatta qualcosa che assomiglia all’amore, ma non è chiaro se sia passione, opportunismo o semplice illusione reciproca. Si sposano in fretta, senza pensarci. E proprio quando Anora crede di aver finalmente trovato una via d’uscita, arrivano i genitori di lui. E con loro, la realtà.
Quello che inizia come una commedia sentimentale si trasforma lentamente in un dramma sociale. Sean Baker non fa retorica, non giudica, non estetizza. Osserva. Si muove con la camera a spalla, vicino ai volti, tra interni soffocanti e locali da strip club. La New York di Anora è una città muta, sempre presente, ma mai spettacolarizzata. È uno spazio che inghiotte e restituisce solo frammenti.
Il film gioca su un registro doppio: da un lato la narrazione veloce, piena di dialoghi brillanti, situazioni paradossali, cambi di tono continui. Dall’altro, la malinconia costante che grava su ogni gesto. Perché Anora non è mai davvero al sicuro. Né con Vanya, né con la sua famiglia, né con se stessa. È una donna che recita il ruolo della ragazza giusta, ma senza sapere se quel ruolo esiste davvero.
L’interpretazione di Mikey Madison è il cuore del film. Il suo volto dice tutto. Anora non è una vittima, ma nemmeno un’eroina. È semplicemente una persona che prova a non annegare, a restare viva, a trovare uno spazio che non sia solo un letto altrui o una bugia ben raccontata. Madison restituisce tutto questo con una grazia crudele, che ha convinto giurie e pubblico fino alla vittoria dell’Oscar come miglior attrice.
E proprio Anora ha fatto la storia agli Academy Awards. Ha vinto come miglior film, miglior regia, miglior montaggio, miglior sceneggiatura e miglior attrice. Un film indipendente, con un budget ridotto, privo di effetti speciali e senza divi hollywoodiani. Un’opera che mette al centro una donna, il suo corpo, la sua voce, la sua marginalità, e lo fa senza pietismo né pornografia.
Sean Baker, già autore di Tangerine e The Florida Project, conferma la sua ossessione per i bordi del sogno americano. Ma stavolta sposta il tono. C’è meno disperazione e più ironia. C’è la leggerezza del dramma che non ha bisogno di scene madri per farsi sentire. Anora è un film che non strilla, ma ti entra sotto pelle. Una commedia che si contorce e si spezza. Un film sulla libertà che si desidera, e su quella che si compra.
Il trionfo agli Oscar è anche una svolta culturale. Per anni l’Academy ha evitato film troppo sessualmente espliciti o moralmente ambigui. Eppure, Anora ha vinto tutto. Perché è un film che non cerca di piacere. Racconta una storia. La guarda dritta negli occhi. E non abbassa mai lo sguardo.
Alla fine, resta lei. Anora. Una donna sola in mezzo a un gioco più grande, che non si arrende, nonostante tutto. La sua forza non sta nel vincere. Sta nel rimanere, nel farsi vedere, nel reclamare il diritto di essere protagonista anche quando tutti la vorrebbero solo comparsa.
È questo che Anora racconta. Non la favola dell’ascesa sociale. Ma la verità nuda e ambigua di chi vive sul confine tra visibilità e sparizione. E alla fine, vince proprio per questo. Perché ha il coraggio di restare se stessa, anche quando il mondo prova a riscriverle il copione.