Con Relic, la regista australiana Natalie Erika James firma un esordio nel lungometraggio che ha il peso specifico di un classico istantaneo. Un film che, come Hereditary di Ari Aster o The Babadook di Jennifer Kent, scava nei nervi scoperti dell’animo umano più che nei soliti cliché del cinema horror. Qui, la paura non arriva da mostri sotto il letto, ma da qualcosa di più intimo, più vero, più tragicamente vicino: la perdita della memoria, della propria identità… e della propria madre.

Tre generazioni, una casa e il vuoto della mente

Emily Mortimer, Bella Heathcote e Robyn Nevin interpretano tre generazioni di donne che si ritrovano nella vecchia casa di famiglia quando la nonna Edna scompare misteriosamente. Al suo ritorno, qualcosa in lei non è più come prima. Ma cosa? È malattia? È possessione? È la casa stessa a nutrirsi dei suoi ricordi?

L’atmosfera è quella di un incubo a occhi aperti, dove le pareti sembrano allargarsi o chiudersi su di te, i suoni sono amplificati fino all’angoscia e l’ombra è più eloquente della luce.

Un horror psicologico travestito da ghost story

Relic non si accontenta di essere un film “sul male che viene da fuori”. Al contrario: il vero nemico è interno, invisibile, implacabile. Il film è una potente allegoria sulla demenza senile — e sulle crepe che si aprono nei rapporti familiari quando il tempo corrode i ricordi. Il lento deteriorarsi di Edna diventa una metafora visiva e sonora: le pareti della casa diventano un labirinto, il corpo si deforma, la mente si spegne… ma in un crescendo poetico e inquietante che non offre vie di fuga semplici.

La regia di James è misurata, elegante e crudele. Ci lascia il tempo di affezionarci ai personaggi prima di colpirci con immagini disturbanti ma mai gratuite.

Donne e horror: una nuova grammatica

C’è qualcosa di profondamente femminile (e femminista) in Relic. Non solo perché il cast principale è tutto al femminile, ma perché il film esplora il tema della cura, del legame madre-figlia-nipote, della paura di diventare il genitore che un giorno hai accudito, e dell’eredità (da cui il titolo) che passa tra generazioni, nel bene e nel male.

Nevin è impressionante: la sua interpretazione è un delicato equilibrio tra vulnerabilità e minaccia. Mortimer regala una performance silenziosamente devastante, mentre Heathcote porta sullo schermo la tensione tra razionalità e istinto.

Un comparto tecnico da brividi – letteralmente

Visivamente il film è un gioiello dell’horror atmosferico: luci fioche, inquadrature fisse che ti fanno dubitare di ciò che vedi, e un uso delle ombre degno di un quadro di Rembrandt con sindrome paranoide. Ma è nel suono che Relic colpisce più duro: i rumori della casa – scricchiolii, passi, graffi – diventano un sottofondo costante, una presenza silenziosa che ti sussurra che qualcosa non va… ma non ti dice cosa.

Qualche chicca in più:

  • Il film è stato presentato al Sundance Film Festival nel 2020 ed è stato immediatamente acclamato dalla critica per la sua originalità e profondità emotiva.
  • Natalie Erika James ha dichiarato di essersi ispirata all’esperienza personale con la nonna affetta da demenza, rendendo l’intero film una sorta di lettera d’amore e di dolore.
  • L’ultima scena del film è una delle più inquietanti degli ultimi anni: una sintesi perfetta tra simbolismo e body horror, che lascia addosso una tristezza profonda e una paura sottile, come un’eco che non vuole andarsene.

Relic non è un horror da “popcorn e urli”, ma una discesa lenta e raffinata nell’incubo più reale che ci sia: perdere sé stessi, o vedere chi ami svanire giorno dopo giorno. Un film che fa paura perché è vero. Un film che ti rimane dentro perché parla di te.