Nel cuore dell’Anatolia sud-orientale, su un’altura che domina la piana di Harran, giace un luogo che sta riscrivendo — con scalpello e pazienza millenaria — tutto ciò che pensavamo di sapere sulle origini della civiltà. Si chiama Göbekli Tepe, e non è solo il più antico tempio mai scoperto: è anche una ferita aperta nella cronologia lineare della storia umana. Un sito che ci costringe a rivedere il concetto stesso di “preistoria”.
Göbekli Tepe in turco significa “collina panciuta”, e fino agli anni ’90 nessuno sospettava che sotto quella modesta protuberanza del suolo si celasse il più antico complesso megalitico del mondo, risalente — tenetevi forte — al 9600 a.C.. Quasi 7.000 anni prima delle piramidi. Un’epoca in cui, secondo i libri di scuola, l’uomo era ancora un cacciatore-raccoglitore nomade, senza villaggi stabili né religione organizzata.
La scoperta è merito di Klaus Schmidt, archeologo tedesco che nel 1994 capì che quei rilievi affioranti non erano affatto tombe medievali, come si pensava. Era un sito neolitico monumentale, sepolto sotto se stesso, in modo deliberato. Una città sacra scolpita nella pietra.
Il santuario dei giganti dimenticati
I livelli più antichi del sito, oggi datati con precisione grazie al carbonio-14, ospitano enormi pilastri a forma di T, alti fino a 6 metri e pesanti oltre 20 tonnellate, disposti in cerchi concentrici. Al centro, due colonne più grandi si fronteggiano come guardiani o divinità. I pilastri sono decorati con rilievi di animali selvatici, simboli astratti e, in alcuni casi, braccia e mani umane, suggerendo che le colonne stesse potessero rappresentare figure antropomorfe.
Non esiste alcuna prova di abitazioni permanenti accanto al sito. Göbekli Tepe non era un villaggio. Era un luogo cerimoniale, costruito da uomini che — per quanto ne sappiamo — non avevano ancora inventato l’agricoltura.
La domanda che fa tremare gli archeologi
Ecco il punto di rottura: se Göbekli Tepe fu costruito da cacciatori-raccoglitori, chi coordinò il lavoro? Chi concepì l’architettura, chi scolpì la pietra con tanta maestria? E soprattutto: perché farlo, se ancora non esisteva la società agricola che avrebbe permesso lo sviluppo delle religioni, dei riti e delle costruzioni monumentali?
Secondo Klaus Schmidt e molti studiosi successivi, la costruzione di questo santuario precede e forse provoca l’agricoltura stessa. In pratica, l’umanità potrebbe aver cominciato a coltivare la terra non per nutrirsi, ma per radunarsi intorno a un culto sacro. L’ordine delle cose potrebbe essere stato l’opposto di quanto sempre raccontato: prima il tempio, poi la città.
Simbolismo e mistero
I rilievi a Göbekli Tepe sono tutt’altro che semplici decorazioni. Tra scorpioni, leoni, serpenti e uccelli, alcuni ricercatori vedono costellazioni, miti ancestrali o calendari cerimoniali. Uno dei bassorilievi più discussi mostra una figura umana decapitata con una cascata di serpenti: un’immagine potentemente simbolica, forse legata a riti sciamanici o cicli cosmici.
Altri hanno visto in alcune composizioni rappresentazioni di eventi astronomici, come la pioggia di meteoriti dell’evento di Younger Dryas, che segnò la fine dell’ultima era glaciale proprio intorno al 10.000 a.C. Le teorie abbondano, alcune più azzardate di altre, ma tutte rendono chiaro che Göbekli Tepe non era un semplice “luogo sacro”: era una visione cosmica scolpita nella roccia.
Un sito sepolto di proposito
Forse l’aspetto più sconcertante del sito è il fatto che venne sepolto intenzionalmente, attorno all’8000 a.C. con strati ordinati di detriti e calcare. Non fu abbandonato. Fu nascosto. Questo comportamento deliberato suggerisce un mutamento culturale radicale: il passaggio a nuove credenze, o la necessità di proteggere il santuario da una catastrofe o da un’oblio rituale.
Perché? Chi decise di sigillare Göbekli Tepe? E da cosa?
Dopo quasi trent’anni di scavi, solo il 5% del sito è stato esplorato. Altri tumuli simili sono stati identificati nella regione — Karahan Tepe, Sefer Tepe — che potrebbero essere ancora più antichi. Göbekli Tepe si rivela quindi non un caso isolato, ma l’apice visibile di una cultura megalitica neolitica sconosciuta.
Il sito ha attirato l’attenzione anche di chi vede nella sua complessità tracce di una civiltà avanzata perduta, una cultura madre che avrebbe lasciato semi in tutto il mondo. Ipotesi affascinanti, seppur ancora non confermate dalla scienza ufficiale.
Un passato che ci chiama
Göbekli Tepe è un monito. Ci dice che la storia umana non è lineare, e che sotto ogni collina anonima potrebbe giacere un capitolo dimenticato della nostra identità. È un sito che unisce scienza, mito e archeologia in un vortice di domande senza risposta. Ma in quelle domande — nel silenzio delle pietre — vibra la voce degli antichi.
Una voce che oggi, grazie alla pazienza degli scavi, sta tornando a parlarci.
1. Karahan Tepe e i “cugini” di Göbekli: una civiltà sepolta sotto l’Anatolia
Se Göbekli Tepe ha fatto tremare i manuali scolastici, ciò che è emerso negli ultimi anni amplifica lo choc: non è solo. Esistono oltre dieci siti simili distribuiti nella regione di Şanlıurfa, in Turchia, che testimoniano un’intera cultura neolitica sacra e megalitica attiva nel X millennio a.C. Göbekli Tepe è solo la punta visibile di un iceberg archeologico sepolto da millenni di oblio.
Karahan Tepe
Situato a circa 35 chilometri da Göbekli Tepe, Karahan Tepe è stato portato alla luce solo di recente, ma gli scavi rivelano un livello di complessità pari — se non superiore — al suo sito gemello. Tra le scoperte più sorprendenti:
- Una sala sotterranea scavata nella roccia con al centro una statua fallica antropomorfa (alta oltre 2 metri), circondata da sedili e pilastri minori, forse utilizzata per riti d’iniziazione.
- Figure scolpite direttamente nella parete della roccia, a indicare un’evoluzione dell’arte megalitica.
- Tracce di simbolismo sessuale e cosmico, che suggeriscono rituali connessi alla fertilità, al passaggio e alla morte-rinascita.
A Karahan Tepe, a differenza di Göbekli, i costruttori sembrano aver lavorato più con la roccia naturale che con blocchi portati da fuori. Un’evoluzione di stile? Una diversa funzione cultuale? Gli archeologi parlano già di una “cultura Tepe” diffusa nell’Anatolia preistorica.
Altri siti “Tepe”
- Sefer Tepe: pilastri simili a quelli di Göbekli, ma associati a possibili attività domestiche.
- Taslı Tepe e Sayburç: con incisioni in bassorilievo che raffigurano figure antropomorfe accanto ad animali, forse miti fondanti scolpiti nella pietra.
- Boncuklu Tarla: il sito mostra addirittura i resti di un villaggio stabile, suggerendo che la cultura dei “Tepe” non era solo rituale, ma anche socialmente organizzata.
Il quadro che emerge è chiaro: non si tratta di un culto isolato, ma di una civiltà culturale diffusa, strutturata, e probabilmente gerarchizzata.
2. Miti antichi e Göbekli Tepe: un Eden scolpito nella pietra?
Non solo archeologia: Göbekli Tepe ha acceso l’immaginazione di studiosi e appassionati che vi leggono una corrispondenza mitica, come se il sito fosse il riflesso fisico di un mondo archetipo perduto, di cui le grandi religioni e le tradizioni orali avrebbero conservato memorie deformate.
Il Giardino dell’Eden?
Nel libro della Genesi, il Giardino dell’Eden si trova “a est”, tra fiumi identificabili con l’Eufrate e il Tigri. Şanlıurfa, dove sorge Göbekli Tepe, si trova esattamente in quella regione. Alcuni ipotizzano che il sito possa essere la matrice reale del mito edenico: un luogo originario dove gli uomini si riunivano in armonia con il creato — fino al peccato o alla rottura simbolica che portò all’abbandono e alla sepoltura del santuario.
Eridu: la prima città?
Nei testi sumeri, Eridu è la città fondata dagli dèi prima del Diluvio, un luogo sacro da cui partì la civilizzazione. Alcuni studiosi, tra cui Graham Hancock, propongono che Göbekli Tepe sia l’archetipo originario di Eridu, o almeno parte di una tradizione perduta che i Sumeri reinterpretarono a posteriori. Questo farebbe di Göbekli l’antenato spirituale delle ziggurat mesopotamiche.
Atlante e l’Atlantide della preistoria
Nel mito platonico, Atlantide era una civiltà straordinaria, distrutta da un cataclisma. Le datazioni di Göbekli e Karahan Tepe coincidono con il cambio climatico di Younger Dryas (circa 10.800–9.600 a.C.), che potrebbe aver causato alluvioni, spostamenti di popolazione e collassi culturali. Alcuni autori azzardano che la memoria di quella civiltà e della sua fine sia sopravvissuta nelle leggende di Atlantide, riformulate millenni dopo dai Greci.
Un pantheon scolpito nella pietra?
I pilastri antropomorfi, gli animali totemici, la disposizione circolare degli spazi: tutto suggerisce una visione del mondo ordinata, sacra, e forse politeista o sciamanica, tipica delle grandi religioni mitiche. Göbekli Tepe potrebbe aver dato origine alle forme simboliche che ispirarono successivamente religioni come quelle sumera, egizia o indoaria.
Verso un nuovo paradigma
Göbekli Tepe e i suoi “fratelli” ci stanno restituendo una preistoria dotata di coscienza simbolica, capace di organizzare il sacro, la scultura e lo spazio con intenzione e precisione. E se queste comunità erano capaci di coordinare centinaia di individui senza scrittura né città, allora l’idea stessa di “civiltà” deve essere riscritta.
Forse abbiamo guardato al passato con lenti troppo moderne. Forse, nel silenzio di questi pilastri, giace l’eco di un’umanità dimenticata — non meno sofisticata, solo più antica di quanto osiamo credere.