Nel 2013, in piena epoca post-Dexter e in un panorama televisivo ormai pronto a ospitare protagonisti oscuri e serial killer carismatici, arriva su FOX The Following, creata da Kevin Williamson. Sì, proprio lui: il papà di Scream e Dawson’s Creek, che qui si libera definitivamente del velo adolescenziale per costruire una storia di caccia e ossessione, dove la verità è manipolabile, la violenza è un’ideologia e il confine tra bene e male è sempre più sottile.

Trama generale: l’orrore che si replica

Il protagonista è Ryan Hardy, ex agente dell’FBI ormai alcolizzato e disilluso, trascinato fuori dal suo esilio interiore quando Joe Carroll — brillante ex professore di letteratura inglese e serial killer amante di Edgar Allan Poe — evade dal braccio della morte. Ma Carroll non è solo. Ha costruito una rete di seguaci, una vera e propria setta di assassini pronti a uccidere per lui, per l’arte, per la “visione”.

Ogni episodio è una battaglia a scacchi tra Hardy e Carroll, tra l’ordine e il caos, tra chi cerca di salvare vite e chi crede che l’omicidio sia un’espressione estetica. Ma la vera forza della serie sta nel modo in cui il male si propaga come un virus sociale: non ci si può fidare di nessuno. Chiunque può essere un seguace.

Joe Carroll: tra Poe, carisma e nichilismo

Joe Carroll è uno dei villain più affascinanti della TV degli anni Dieci. Interpretato da James Purefoy con eleganza glaciale, Carroll è un ex accademico che ha trasformato l’omicidio in letteratura, e la letteratura in apocalisse personale. Ossessionato da Poe e dalla potenza tragica del gesto estremo, costruisce intorno a sé un culto della morte che attrae emarginati, instabili, romantici perversi e fanatici estetizzanti.

Il parallelo con Charles Manson è evidente, ma c’è anche qualcosa di più sottile: Carroll rappresenta la fascinazione postmoderna per l’antieroe, il culto della personalità e l’uso della retorica colta come giustificazione dell’orrore.

Ryan Hardy: l’eroe spezzato

Kevin Bacon, nei panni di Ryan Hardy, offre una delle sue prove più tormentate. Lontano anni luce dai detective infallibili, Hardy è un uomo rotto, consumato dal senso di colpa, con un pacemaker al cuore e una bottiglia sempre troppo vicina. È attratto da Carroll quanto lo detesta. La loro dinamica è quella dell’eterno dualismo: Caino e Abele, Holmes e Moriarty, luce e tenebra intrecciate in un patto di mutua distruzione.

Hardy non è un eroe tradizionale: prende decisioni discutibili, mente, copre, si lascia trascinare nel buco nero del male che vorrebbe combattere. Ma è proprio questa fragilità a renderlo umano.

Il procedural infettato

Ogni stagione di The Following si costruisce come un procedural ma inquina le sue regole. Non si risolve un crimine: si tenta di contenere un’ideologia violenta che muta continuamente. I seguaci di Carroll non sono una “banda”, ma cellule indipendenti che operano come virus intelligenti. L’orrore non ha una sola testa: è una mappa di menti infettate da un’idea malata.

La tensione non sta solo nel “chi ha ucciso”, ma nel “chi potrebbe farlo”. Il vicino, il collega, il fidanzato: chiunque può essere uno di loro. Questo genera una paranoia costante che rende ogni puntata un terreno instabile, pronto a esplodere.

Evoluzione e decadenza

La prima stagione è la più compatta e incisiva. La seconda tenta la strada della moltiplicazione: nuovi culti, nuove fazioni, nuovi deliri. Carroll diventa quasi una figura messianica. La terza cambia rotta, spostando il focus su altri assassini e sul deterioramento mentale di Hardy. Non tutti i cambiamenti convincono: alcuni spettatori accusano un calo di credibilità o coerenza. Ma l’universo creato rimane potente, oscuro, disturbante.

Il finale della terza stagione — e di tutta la serie — chiude il cerchio con malinconia e un residuo di speranza, ma lascia anche aperta la porta a nuove incarnazioni del male. Perché il culto può morire, ma l’idea resta.

Culto, controllo, identità

The Following è una riflessione violenta sulla vulnerabilità dell’identità moderna. Cosa ci spinge a seguire qualcuno fino a uccidere? Cosa rende un uomo carismatico abbastanza da diventare dio per alcuni? E, soprattutto, quanto possiamo resistere prima di diventare parte di quel che detestiamo?

Il concetto di culto — religioso, letterario, romantico, criminale — è affrontato in modo spietato: non con ironia o distanza, ma con immersione diretta. La serie mostra quanto sia facile entrare in un meccanismo manipolatorio, e quanto difficile sia uscirne.

The Following è una serie che ti sporca. Non ti consola, non ti dà soluzioni. Ti mette davanti all’idea che il male non è un’eccezione, ma una proposta. Una proposta che troppe persone sono disposte ad ascoltare, soprattutto se arriva con le parole giuste e il tono pacato. In un’epoca in cui le verità si fanno virali e la moralità è liquida, The Following è un monito feroce, un racconto oscuro su cosa succede quando il culto della morte si traveste da ideologia.

L’infezione del Male, la seduzione del culto, la fragilità dell’identità

The Following è molto più di un thriller investigativo. È un’epopea oscura sulla diffusione della violenza come ideologia e sulla fascinazione per il carisma del male. La creatura di Kevin Williamson, spinge lo spettatore oltre i confini del “chi è l’assassino” per chiedergli: “quanti ce ne saranno ancora, e quanti stanno guardando con occhi vuoti la tua porta?”

Stagione 1: Il culto di Joe Carroll

La prima stagione introduce Joe Carroll, serial killer letterario fuggito di prigione, e il suo carceriere spirituale, l’ex agente dell’FBI Ryan Hardy. Carroll ha costruito, durante gli anni in carcere, una vera e propria rete di seguaci: individui normali, apparentemente integrati, pronti a uccidere su suo comando.

Hardy viene reintegrato nell’indagine, e da quel momento inizia una spirale di omicidi, tradimenti e colpi di scena. Il grande tema è quello della contaminazione: la violenza si diffonde come un virus. Tutti possono essere parte del culto. Nessuno è al sicuro.

Temi chiave: manipolazione carismatica, mitologia letteraria, romanticismo perverso
Momento simbolo: la scena della maschera di Poe usata per commettere omicidi in pubblico

Stagione 2: Guerra tra culti

Dopo la falsa morte di Carroll, un nuovo gruppo emerge: una setta alternativa guidata dai gemelli Mark e Luke Gray, figli di una famiglia di serial killer. Quando Carroll ricompare, le due fazioni iniziano a scontrarsi. Hardy, nel frattempo, è ancora perseguitato dalla sua ossessione e costretto a collaborare con l’FBI in modo sempre più scorretto.

La stagione mostra come il culto sia diventato virale: non più un’unica setta, ma un’ideologia che genera nuove cellule.

Temi chiave: espansione dell’ideologia, disintegrazione morale, trauma familiare
Momento simbolo: l’intervista pubblica a Carroll, trasmessa in diretta nazionale, come manifesto del terrore

Stagione 3: Il culto senza dio

La terza stagione rompe l’equilibrio. Joe Carroll è condannato a morte, ma la sua eredità non muore. Un nuovo assassino entra in scena: Theo Noble, hacker e serial killer metodico, impersonale, che odia Carroll ma ne ha appreso i metodi. La serie vira verso un orrore più psicologico, dove l’identità viene decostruita pezzo per pezzo.

Hardy, ormai consunto, combatte la propria discesa nella follia. Il male non ha più bisogno di carisma: ha trovato altri linguaggi.

Temi chiave: morte del culto, metamorfosi del Male, distorsione dell’identità digitale
Momento simbolo: Theo che cancella la propria esistenza e ne costruisce una nuova, diventando invisibile e inarrestabile

Personaggi secondari chiave

Claire Matthews

Ex moglie di Joe Carroll, è il primo legame emotivo di Hardy con il passato. È madre, sopravvissuta, figura ambigua che cerca redenzione e vendetta. È al centro di molte delle scelte impulsive e dolorose di Ryan.

Debra Parker

Agente FBI a capo dell’unità contro Carroll nella prima stagione. Ha un passato all’interno di una setta religiosa, che la rende particolarmente vulnerabile alle dinamiche di culto. Il suo arco narrativo è breve ma memorabile, e rappresenta la possibilità di uscire dalla spirale.

Mike Weston

Giovane agente FBI, braccio destro e quasi figlio spirituale di Hardy. Il suo percorso è una lenta e dolorosa corruzione: da idealista a uomo segnato, che impara a uccidere, a mentire, a distruggersi per il bene più grande.

Emma Hill

Seguace di Joe Carroll, fanatica e lucida, è l’incarnazione della “vera fede” nel culto. A tratti fredda, a tratti emotivamente dipendente da Carroll, è una delle figure più inquietanti della serie. Affascinante e spietata.

Mark & Luke Gray

Due fratelli disturbati, cresciuti nella violenza. Luke è sadico e impulsivo, Mark più sensibile e fragile. Dopo la morte di Luke, Mark sviluppa un disturbo dissociativo e “continua” a parlare con il gemello, mantenendo vivo il loro culto attraverso la psicosi. Simbolo dell’effetto permanente del trauma.

Theo Noble

Antagonista della terza stagione. Totalmente privo di carisma, è puro calcolo. Un predatore freddo, capace di sparire dai sistemi e uccidere come gesto tecnico. È la disumanizzazione del Male. Nessuna poesia. Nessuna ideologia. Solo metodo.

Tecniche di manipolazione nella serie

1. Gaslighting e inversione della realtà

Carroll non manipola solo con le parole, ma con l’intero contesto. Fa sentire le sue vittime come colpevoli, o partecipi. “Tu sei speciale, tu hai capito” è la sua arma principale. Porta le persone a dubitare di sé, fino ad abbracciare il proprio lato oscuro.

2. Emulazione carismatica

Carroll si costruisce come figura messianica. Ogni omicidio è presentato come un gesto artistico, ogni seguace riceve attenzione e “missione”. La personalità del leader è una droga: l’identità del singolo viene annientata in quella del gruppo.

3. Cellule dormienti

La Rete è strutturata a cellule, come un vero movimento terroristico. I membri non si conoscono tra loro, si attivano solo su comando. Questo rende la minaccia imprevedibile. Nessuna scena è mai sicura.

4. Narrazione mitica

Carroll riscrive la sua storia come una favola oscura: lui è il poeta incompreso, Hardy è il persecutore, e ogni omicidio è una pagina del suo “romanzo vivente”. Questo storytelling seduce e giustifica l’orrore, lo rende seducente.

5. Complicità emotiva

Hardy stesso è manipolato. La serie gioca sulla seduzione morale: più si avvicina al male, più ne condivide metodi e logica. L’ossessione è reciproca. Il Bene, in The Following, è sempre a rischio contaminazione.

The Following è una serie radicale. Parla di culti, ma è essa stessa una riflessione sulla natura del culto: il carisma, la dipendenza, la propaganda, la violenza come linguaggio. I suoi personaggi non sono eroi o mostri, ma persone in balia di pulsioni che li superano. E ci racconta che il Male non ha bisogno di divinità: gli basta un’idea, un microfono, e una rete.

In un mondo dove la realtà è sempre più costruita da narrazioni forti, The Following è un avvertimento tagliente. Non tutto ciò che è detto con grazia è innocuo. E non tutti i mostri portano la maschera.