Dan Jolin
Dopo la morte della sua “difficile” madre Ellen, Annie Graham (Toni Collette), artista di modellismo e madre di due figli, si sente stranamente inquieta. Pur essendo sollevata dalla scomparsa dei genitori, inizia a sentirsi insicura riguardo alle proprie capacità materne e inizia a sospettare che ci sia qualcosa di sinistro dietro i crescenti problemi della sua famiglia.
Hereditary non è per i deboli di cuore. Onestamente, lo intendiamo sul serio. Ma non nel senso che potrebbe spaventarvi a crepapelle fino a farvi venire un arresto cardiaco. Il film d’esordio di Ari Aster ha i suoi momenti di shock che stringono il torace, ma sono rari (e per questo ancora più efficaci). In primo luogo, adotta l’approccio del terrore strisciante all’horror, spesso offrendo le sue delizie più agghiaccianti prima ancora che ve ne accorgiate.
Una scena, ad esempio, presenta un personaggio nella penombra di una stanza avvolta nella notte. Mentre si siedono sul loro letto, posizionati con cura nell’angolo in basso a sinistra della cornice di Asters, sai fin nel profondo che c’è qualcosa che non va. Ma non lo vedi.
Poi, forse, qualcuno seduto vicino a te sussulterà, un respiro improvviso che ti farà capire di averlo notato prima di te. Guardi più da vicino, i tuoi occhi guizzano intorno ai bordi scuri e agli angoli ancora più scuri della cornice. In un certo senso non vorresti. Ma sei costretto a farlo. E poi. Oh. Ohhh no. Lo vedi…
Aster potrebbe essere uno sceneggiatore e regista alle prime armi, ma è chiaramente un maestro dell’horror nato. Altrimenti, possiamo solo supporre che The Wicker Man fosse in loop nel suo reparto maternità, che sia effettivamente cresciuto nella stanza 237 dell’Overlook Hotel e che abbia seguito visivamente il Ringu di Hideo Nakata per tutta l’adolescenza. Non ci sorprenderemmo se anche sua madre si chiamasse Rosemary.
Hereditary regge bene le sue influenze, risultando ispirato piuttosto che derivativo. Aster gioca con molte idee e tropi riconoscibili, ma li plasma in qualcosa che colpisce con una freschezza che sa di morte e menta. Ci sono simboli e invocazioni pagane. Ci sono sedute spiritiche a lume di candela. E come abbiamo già detto, ci sono cose terribili, terribili in agguato in quelle ombre. Ma avvolge il tutto in una storia a lenta combustione che gioca su insicurezze familiari – principalmente la domanda su chi incolpare per i nostri difetti: i nostri genitori? Noi stessi? O… qualcos’altro?
Tutto è presentato con una splendida precisione kubrickiana ed eleganti tecniche trompe-l’oeil, da un’inquadratura a passo lento che si apre sulla stanza di una casa in miniatura (che poi impercettibilmente e inquietantemente si trasforma in quella reale), alle lunghe inquadrature in un unico piano sequenza nella casa infestata dalla peste della famiglia Graham, al riflesso di luci rosso fuoco negli occhi pieni di lacrime di un personaggio, fino ai rapidissimi stacchi che ci catapultano dalla notte al giorno e viceversa, mentre Aster affetta il tempo come uno chef di sushi.
Una cupa pulsazione elettronica aleggia nel mix sonoro per gran parte del film, facendoci sedere a disagio anche quando ciò che accade sullo schermo appare innocente o banale. Aster non concede mai alcun sollievo al suo pubblico. Non ci sono sfoghi di tensione tipo “oh, è solo un gatto” in Hereditary. Tutto è intriso di minaccia. Soprattutto i luoghi in cui ci si dovrebbe sentire più al sicuro.
Ha anche radunato un cast impressionante. Il più giovane Graham, il tredicenne Charlie, è interpretato dall’esordiente Milly Shapiro in un modo che in qualche modo suscita simpatia e profonda inquietudine allo stesso tempo. Alex Wolff (Jumanji: Benvenuti nella giungla) ritrae con sensibilità il fratello maggiore Peter come un adolescente che, in un certo senso, non sta ancora diventando adulto: i suoi traumi lo hanno trasformato da fannullone fumatore di bong a bambino urlante, come si immagina che farebbero con chiunque nella sua fase psicologicamente fragile della vita.
Gabriel Byrne è adeguatamente solido nel ruolo del padre Steve, costante, poco interessante, che tiene tutto insieme (e fallisce). E per quanto riguarda Toni Collette nel ruolo principale di Annie, Aster la mette davvero a dura prova, infliggendo alla sua star-sofferente sofferenze paragonabili a quelle subite sia da Essie Davis in Babadook del 2014 che da Ellen Burstyn ne L’esorcista. Messe insieme. Il suo sguardo di puro terrore senza filtri, che riempie lo schermo e si rivolge direttamente alla telecamera, probabilmente vi rimarrà impresso tanto quanto molti degli altri spaventi di Hereditary. Che sono numerosi, incessanti e mai meno intensi di un’insonnia invitante.
Un crudo capolavoro horror di un regista esordiente che merita di essere menzionato con lo stesso respiro frenetico dei grandi del genere. Anche lo spettatore più disincantato dovrebbe trovare in Hereditary qualcosa che lo turba e lo angoscia. Buon divertimento?