John HAMMOND

Massive Attack: i padri oscuri del trip hop

Se esiste un suono che ha definito il lato più introspettivo e urbano degli anni ’90, quel suono ha un nome ben preciso: Massive Attack. Più che un gruppo, un manifesto sonoro. Un collettivo capace di trasformare la malinconia in arte elettronica e le notti in rituali di bassi profondi e atmosfere cinematiche.

Nati a Bristol nel 1988, i Massive Attack sono spesso considerati i fondatori del trip hop, genere ibrido che mescola elettronica, hip hop, dub, soul e ambient, con un ritmo lento e ipnotico. Ma ridurli a una semplice etichetta sarebbe un errore: la loro musica è un’esperienza sensoriale, una spirale emotiva che ha saputo rinnovarsi album dopo album senza mai perdere l’identità.

Le radici: dal Wild Bunch alla rivoluzione sonora

Tutto ha inizio nei primi anni ’80, quando Robert “3D” Del Naja, Grant “Daddy G” Marshall e Andrew “Mushroom” Vowles facevano parte del sound system The Wild Bunch, un collettivo che suonava nei club di Bristol fondendo hip hop, reggae, punk e funk. In quegli anni si fa notare anche un giovane Adrian Thaws, meglio noto come Tricky, che inizierà a collaborare strettamente con la band prima di intraprendere una carriera solista.

Nel 1991 pubblicano il loro primo album, “Blue Lines”, ed è subito rivoluzione: ritmi lenti, linee di basso dub, orchestrazioni minimali e la voce celestiale di Shara Nelson su “Unfinished Sympathy”, uno dei singoli più iconici degli anni ‘90. Non era solo un disco: era un manifesto.

La trilogia sacra: Blue Lines, Protection e Mezzanine

Nel 1994 arriva “Protection”, che conferma e raffina la formula. Qui spiccano le collaborazioni con Tracey Thorn degli Everything But the Girl e ancora Tricky, che presta la voce a “Karmacoma”. Il suono si fa più soulful, più cinematico, e la critica si inchina ancora.

Ma è con “Mezzanine” (1998) che i Massive Attack toccano il vertice creativo. Un disco cupo, pesante, a tratti claustrofobico, dove le chitarre industriali si fondono con l’elettronica e la voce eterea di Elizabeth Fraser (dei Cocteau Twins) trascina l’ascoltatore in una dimensione onirica e inquietante. “Teardrop”, “Angel” e “Risingson” sono brani diventati culto. E dietro le quinte, però, iniziano le frizioni: Vowles abbandonerà dopo questo album.

Identità mutevole, coerenza estetica

Il 2003 segna il ritorno con “100th Window”, un album interamente curato da Del Naja (senza Tricky né Mushroom), con un’impronta elettronica più fredda e sperimentale. Segue, nel 2010, “Heligoland”, un progetto più collaborativo, che coinvolge artisti come Damon Albarn, Guy Garvey, Hope Sandoval e Tunde Adebimpe. L’album segna una rinascita creativa, sospesa tra elettronica minimale e soul distopico.

Nel frattempo, Del Naja diventa sempre più coinvolto in progetti artistici e politici: si sospetta addirittura (con molta leggenda e poca certezza) che sia lui il misterioso street artist Banksy, teoria mai confermata ma perfettamente coerente con il tono criptico del personaggio.

Massive Attack oggi: attivismo e visioni del futuro

Negli ultimi anni, i Massive Attack hanno ridotto l’attività discografica, ma si sono distinti per un forte impegno ambientale e politico. Nel 2019 pubblicano un EP, “Eutopia”, con contenuti visivi e collaborazioni con accademici, discutendo temi come crisi climatica e giustizia sociale.

I loro live rimangono eventi intensi, dove visual, luci e messaggi politici si fondono in un’esperienza multisensoriale. Non sono solo concerti: sono performance artistiche.

Componenti principali (e travagliati)

  • Robert “3D” Del Naja: mente visiva e concettuale della band. Pittore, attivista, visionario.
  • Grant “Daddy G” Marshall: l’anima soul e reggae, con la voce calda e profonda.
  • Andrew “Mushroom” Vowles: uscito nel 1999 per divergenze creative.
  • Tricky: collaboratore di peso nei primi album, poi solista ribelle.

I maestri dell’ombra

I Massive Attack non sono una band per tutti. Non fanno musica da hit radiofonica, né cercano consenso facile. La loro forza sta nel costruire atmosfere, nel raccontare il disagio con eleganza, nel dare una colonna sonora all’inquietudine urbana.

Ogni loro album è una tappa di un viaggio che esplora il lato oscuro della bellezza. In un mondo che spesso urla, i Massive Attack sussurrano. Ma quei sussurri restano incisi nella memoria per sempre.

1. Blue Lines
Data di uscita: 8 aprile 1991

Brani essenziali:

  • Unfinished Sympathy
  • Safe from Harm
  • Daydreaming
  • Five Man Army
  • Lately

Con “Blue Lines”, i Massive Attack inventano praticamente un genere. Il trip hop prende forma in questo album dove l’hip hop incontra il soul, il reggae e la malinconia britannica. Le atmosfere sono lente, ovattate, e la voce di Shara Nelson su “Unfinished Sympathy” sembra provenire da un sogno urbano. È un album che non grida, ma parla direttamente all’anima.

2. Protection
Data di uscita: 26 settembre 1994

Brani essenziali:

  • Protection
  • Karmacoma
  • Weather Storm
  • Spying Glass
  • Heat Miser

Più maturo e levigato rispetto all’esordio, “Protection” amplia lo spettro sonoro della band. Tracey Thorn porta dolcezza malinconica, Tricky porta inquietudine. “Karmacoma” è quasi dadaista, “Protection” una ballata elettronica da camera da letto postmoderna. L’album suona come una domenica pomeriggio piovosa vissuta in slow motion.

3. Mezzanine
Data di uscita: 20 aprile 1998

Brani essenziali:

  • Teardrop
  • Angel
  • Risingson
  • Inertia Creeps
  • Man Next Door

Capolavoro oscuro, “Mezzanine” è l’album che ha consacrato i Massive Attack a livello mondiale. Le atmosfere si fanno più dense, le chitarre invadono lo spazio elettronico, e la voce di Elizabeth Fraser in “Teardrop” è un monumento alla fragilità umana. È un disco che parla di tensione, di desiderio, di ombre. Da ascoltare a luci spente.

4. 100th Window
Data di uscita: 10 febbraio 2003

Brani essenziali:

  • Special Cases
  • Butterfly Caught
  • What Your Soul Sings
  • Antistar
  • Future Proof

L’unico album senza Daddy G, “100th Window” è il più glaciale e minimale della discografia. Niente campionamenti, solo elettronica pura e visioni notturne. La voce di Sinéad O’Connor aggiunge una spiritualità quasi mistica, mentre le produzioni di Del Naja scavano nei meandri più oscuri dell’introspezione. Un album non facile, ma magnetico.

5. Heligoland
Data di uscita: 8 febbraio 2010

Brani essenziali:

  • Paradise Circus
  • Splitting the Atom
  • Girl I Love You
  • Babel
  • Saturday Come Slow

Dopo un lungo silenzio creativo, i Massive Attack tornano con un album più aperto e collaborativo. Ci sono Damon Albarn, Hope Sandoval, Guy Garvey. Il suono torna ad essere più caldo e umano, ma sempre enigmatico. “Paradise Circus” è una delle cose più sensuali mai scritte dalla band. È un ritorno che non delude, ma lascia sempre tutto in sospeso.

6. Ritual Spirit (EP)
Data di uscita: 28 gennaio 2016

Brani essenziali:

  • Ritual Spirit
  • Dead Editors
  • Voodoo in My Blood
  • Take It There

Un EP che è molto più di un riempitivo. Il ritorno di Tricky su “Take It There” è una stretta al cuore per i fan di lunga data. L’EP è denso, notturno, nervoso. “Voodoo in My Blood” è un inno elettronico postmoderno. È la dimostrazione che i Massive Attack, pur restando fedeli a sé stessi, sanno ancora sorprendere.

7. Eutopia (EP)
Data di uscita: 2020

Brani essenziali:

  • Climate Emergency
  • Tax Haven
  • Universal Basic Income

Più che musica, “Eutopia” è una dichiarazione politica. Tre brani con visual art e interventi accademici per riflettere su crisi ambientale, disuguaglianza e futuro sociale. È arte che guarda al domani con occhi critici e cuore coinvolto. Un’operazione concettuale, visionaria, all’altezza della loro storia.