Nel panorama musicale britannico degli anni Novanta, costellato da Britpop e revivalismi vari, i Death in Vegas rappresentano un’eccezione brillante e poco classificabile. Un progetto che non ha mai cercato l’adesione alle mode del momento, ma che ha preferito percorrere sentieri propri, mescolando generi, atmosfere e linguaggi sonori in un modo che oggi possiamo riconoscere come assolutamente pionieristico.
Nati da un’intuizione di Richard Fearless – al secolo Richard Maguire – e Steve Hellier, i Death in Vegas hanno incarnato fin dagli esordi l’idea che l’elettronica non dovesse essere confinata a club o dancefloor, ma potesse essere un veicolo per l’esplorazione, per la psichedelia, per l’oscurità. In una parola: per la libertà artistica.
Gli esordi: tra dub e krautrock
Il debutto del 1997, Dead Elvis, è già una dichiarazione di intenti. Non solo per il titolo ironico e beffardo, ma per il contenuto sonoro: una miscela di dub, trip-hop, techno e rock psichedelico che guarda a modelli tanto diversi quanto i Primal Scream di Screamadelica, i Kraftwerk e i pionieri del dub giamaicano. Non c’è una voce fissa, non c’è una formula replicabile. C’è solo una continua tensione verso la sperimentazione.
Brani come Dirt e GBH dimostrano una particolare predilezione per le atmosfere ossessive, le basse frequenze che vibrano sotto la pelle, i campionamenti oscuri. È musica da ascoltare al buio, ma con la mente aperta.
La consacrazione: The Contino Sessions
Nel 1999 arriva The Contino Sessions, il disco che li consacra e che ancora oggi è considerato il loro vertice creativo. Registrato in uno studio “infestato” in una villa a West London (un dettaglio che si riflette nei toni cupi dell’album), il disco ospita collaborazioni memorabili, tra cui quella con Iggy Pop in Aisha e con Jim Reid dei Jesus and Mary Chain.
È un album che trasuda tensione cinematografica: ogni traccia sembra la colonna sonora di un film mai girato. C’è del noir, del western, dell’horror. La chitarra si fonde con il sintetizzatore, il groove con l’angoscia. È elettronica, sì, ma con un cuore profondamente rock.
Oltre le definizioni: Scorpio Rising e il resto
Il terzo album, Scorpio Rising (2002), prosegue lungo il percorso delle collaborazioni eccellenti – spicca la voce di Liam Gallagher su Scorpio Rising – e amplia lo spettro musicale verso territori ancora più ambiziosi. Se The Contino Sessions era gotico e spettrale, Scorpio Rising è più stratificato, più cinematografico, più “aperto”. C’è spazio per l’oriente (nell’uso di strumenti indiani), per la psichedelia californiana, per il krautrock più ipnotico.
Negli anni successivi, Fearless prosegue il progetto in solitaria, pubblicando Satan’s Circus (2004) e Trans-Love Energies (2011), due album forse meno accessibili ma ricchi di spunti. Meno centrati sulla forma canzone, più devoti alla texture sonora, alla costruzione di paesaggi uditivi. Sono dischi da esplorare, non da consumare. Testimonianze di un artista che non cerca il consenso, ma la coerenza.
Il valore culturale dei Death in Vegas
In un’epoca in cui le categorie musicali sembrano diventare sempre più rigide, i Death in Vegas hanno rappresentato – e rappresentano ancora – un esempio raro di ibridazione riuscita. Non si sono mai piegati alle logiche di mercato. Non hanno mai cercato l’hit facile. E proprio per questo hanno lasciato un’impronta profonda.
Hanno anticipato molti trend contemporanei: la fusione tra elettronica e rock, il ritorno dell’estetica analogica, la rivalutazione del suono sporco, vissuto, imperfetto. In qualche modo, sono stati artigiani del suono in un mondo che stava già diventando digitale e algoritmico.
I Death in Vegas non sono stati semplicemente una band. Sono stati un laboratorio. Un progetto sonoro che ha messo in discussione i confini tra generi, tra strumenti, tra sensibilità artistiche. In un tempo in cui la musica tende a essere sempre più prodotto, il loro catalogo rimane una biblioteca di atmosfere, di viaggi mentali, di deviazioni audaci.
1. Dead Elvis – 1997
Debutto discografico, una fusione di elettronica, dub e psichedelia con un forte spirito sperimentale.
Tracklist:
- All That Glitters
- Opium Shuffle
- GBH
- I Spy
- Sour Times
- Death Threat
- Rocco
- Rekkit
- Dirt
- Rematerialised
- Amber
2. The Contino Sessions – 1999
L’album che li ha consacrati, con ospiti illustri e atmosfere da cinema noir. Cupo, potente, suggestivo.
Tracklist:
- Dirge
- Soul Auctioneer
- Death Threat
- Flying
- Aisha
- Lever Street
- Aladdin’s Story
- Broken Little Sister
- Neptune City
3. Scorpio Rising – 2002
Un lavoro più melodico e accessibile, ma sempre radicato nella contaminazione tra elettronica, rock e suggestioni orientali.
Tracklist:
- Leather
- Girls
- Hands Around My Throat
- 23 Lies
- Scorpio Rising
- Killing Smile
- Natja
- So You Say You Lost Your Baby
- Diving Horses
- Help Yourself
4. Satan’s Circus – 2004
Un ritorno alle origini elettroniche, quasi interamente strumentale. Cupo, minimale, quasi industriale.
Tracklist:
- Ein für die Damen
- Zugaga
- Heilskaffee
- Sons of Rother
- Candy McKenzie
- Reigen
- Kontrol
- Annie’s Night
- Head
- Come on Over to Our Side, Softly Softly
- Heilige Tod
(Nella versione deluxe era incluso anche un secondo disco live: “Live at Brixton”)
5. Trans-Love Energies – 2011
Un lavoro più intimo e spirituale, con nuove sonorità e atmosfere rarefatte. Un’evoluzione stilistica interessante.
Tracklist:
- Silver Time Machine
- Black Hole
- I Am Not a Doctor
- Medication
- Witch Dance
- Scissors
- Your Loft
- Savage Love
- Coum
- Come Ride With Me
- Drone Reich
- Tomorrow